
La rabbia, questa emozione, fa parte, a detta della maggior parte degli studiosi, delle “emozioni primarie”, che sono quindi presenti anche nei neonati e nei primati animali, che sono “universalmente riconosciute”, nel senso che non variano a seconda delle culture o delle società ma hanno ovunque lo stesso significato.. Anche Charles Darwin ne parlava, come emozione innata, con funzioni adattive: in origine (e negli animali) la rabbia ha la funzione di proteggere la prole, o di difendere il territorio, o di lottare per la propria preda o per la femmina, ecc.
Che cosa porta oggi dunque questa emozione primaria/adattiva a trasformarsi in frustrazione e aggressività, ossia in comportamenti atti a procurare danno al prossimo? La frustrazione, la non soddisfazione di un bisogno o di un desiderio, sfocia sempre in rabbia e aggressività?
Vari studiosi hanno provato a dare risposte a questi interrogativi, e come sempre non c’è un parere omogeneo, ma l’intreccio delle varie spiegazioni può aiutare a creare una visione d’insieme e un’integrazione delle diverse teorie. Una delle prime teorie psicologiche sull’aggressività, la “teoria della frustrazione-aggressività”, rispondeva affermativamente al quesito del collegamento, tanto che John Dollard e colleghi, negli anni 30 del ‘900, sostenevano che la frustrazione (qualsiasi sensazione di impedimento al raggiungimento di uno scopo) innesca reazioni di subitanea aggressività. Non è detto che l’energia aggressiva esploda direttamente contro ciò che l’ha originata, si può anche trasferire l’ostilità dislocandola su bersagli più “sicuri”. Il meccanismo di “dislocazione” agisce come una “catena” di azioni, che danneggiano una persona che poi ne danneggia un’altra ecc.,
Sempre quella che è più vicina o comoda per scaricare la propria tensione, così chi ha subito un torto dal capo ufficio si sfoga sul pescivendolo insultandolo per un particolare insignificante, questo a sua volta si arrabbia con la moglie che poi inveisce sul figlio e così via. Questo è interessante perché rimanda al concetto di Karma, che significa appunto “azione”, e funziona proprio come una “catena” di azioni perpetrate di continuo finché qualcuno, con un po’ più di consapevolezza, decide di reciderla e non vendicarsi, non continuare questo ciclo infinito di aggressività. Alcuni autori ( Adorno, es. ) sostengono che le personalità autoritarie (come i despoti capi di stato che hanno dato inizio a stragi o genocidi) siano persone frustrate e con personalità soffocate da genitori autoritari e anaffettivi, che poi hanno sfogato le loro energie represse mettendo in atto comportamenti estremi. Vari psicologi sostengono inoltre che l’aggressività possa venire socialmente appresa (anche Albert Bandura ha osservato nei suoi studi sperimentali come essa si possa apprendere anche per “modellamento”, ossia imitazione di “altri significativi” o di adulti che siano però un buon esempio da seguire).
Come eliminare quindi queste emozioni di frustrazione e rabbia per non trasformarle in atti aggressivi? Aristotele sosteneva che sollecitare un’emozione significasse poterla manifestare e liberare. Partendo da questa ipotesi “catartica” alcuni terapeuti tengono gruppi o sessioni individuali (di meditazione dinamica, di espressione emozionale attraverso tecniche potenti di respiro o di vissuti del passato, regressioni, psicoterapia con sfogo e catarsi..) in cui incoraggiano i loro pazienti a sfogare la rabbia per poterla liberare. Dagli studi fatti a posteriori sembra che le ipotesi di Freud, Lorenz e i rispettivi seguaci- assistere o prendere parte ad azioni violente- non produca un effetto catartico. Anche la guerra dovrebbe aver questo effetto, mentre dopo le guerre i tassi di violenza nei paesi che ne hanno preso parte sono sempre drasticamente aumentati. In alcuni esperimenti di Brad Bushman e colleghi del 2002, ad esempio, coloro che hanno subito una provocazione e poi preso a pugni un sacco da pugilato, quando hanno potuto vendicarsi col provocatore si sono dimostrati molto più aggressivi di coloro che non si erano sfogati sul sacco! Bushamn sostiene che essere arrabbiati è esercizio e allenamento, così come lo è il raggiungimento degli obiettivi o la serenità interiore.
Darwin, nella famosa opera “l’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali” del 1872, diceva: “colui che dà libero sfogo a gesti violenti non farà che incrementare la propria rabbia”.
Non è che dobbiamo reprimere la rabbia, poiché il “ruminamento mentale” fa altrettanti danni. Bisogna trovare un’altra via. La via è sempre quella dell’autoconsapevolezza, il guardare noi stessi con gli occhi dell’osservatore, vedere se stiamo dando energia al senso di frustrazione o se lo vogliamo trasformare in sfida al cambiamento e creatività. La rabbia ha una grande valenza energetica, è una fonte di attivazione del nostro sistema simpatico, che, così attivato, può essere incanalato a creare, a produrre, a realizzare e concretizzare. Se osserviamo questa energia e decidiamo di non nutrire quella parte, ma di trasmutarla in energia creativa, troveremo che in noi abbiamo una grande fonte di ispirazione e soprattutto che riusciamo a concludere in poco tempo progetti, opere artistiche, lavori in casa, in giardino, o a esprimere col nostro corpo attività sportive e atletiche, con tanta energia e provando grande soddisfazione. Quella soddisfazione che, di per sé, ha già sconfitto, annientato e trasformato la frustrazione dandole la direzione della consapevolezza e della gioia.